Il sacro della primavera
Un balletto per eccellenza e un fiasco per eccellenza. Tutti sanno che alla sua prima rappresentazione “La Sagra della Primavera” è stata un insuccesso. Perché è un’opera d’avanguardia, giovane, nata per distruggere le tradizioni. Si dice che la musica moderna sia nata con essa. Alla sua prima rappresentazione a Parigi nel 1913 ha provocato una rissa, il pubblico non si è limitato agli insulti verbali, non si è limitato alla parola, ha “agito” attraverso un vero e proprio attacco fisico.
Stravinskij dichiarò che ebbe una visione prima di scrivere quest’opera, la quale consisteva in un rituale in cui un cerchio di anziani saggi assisteva alla danza di una vergine che doveva danzare fino a morire. Una meravigliosa metafora del nostro tempo. Una meravigliosa metafora di questa generazione che attende obbligata allo stallo, osservata, spiata, pesata, vergine perché impossibilitata a fare da sola. Ora l’urgenza è più grande, come quando un pensiero tra tanti ti si incastra, si ferma nel cervello come un morso. La nostra generazione non può più attendere, f***off!
I cicli naturali si invertono, i vecchi ci osservano e noi invecchiamo senza sbocciare, in uno stallo esistenziale che ci chiede sempre di attendere pazienti e comprensivi facendoci credere che sia naturale. Non è naturale. Lasciamo definitivamente i padri come si lascia l’inverno, e smettiamo di essere figli. Che il rito propiziatorio avvenga con il nostro sudore che ha nutrito la pazienza, ora vogliamo bonificare la terra sulla quale camminiamo e costruiamo. E’ il nostro tempo e ce lo riprendiamo, gli antenati saranno d’accordo con noi senza bisogno di tanti discorsi, non c’è più tempo per le spiegazioni. Questa non è una generazione di passaggio, nessuna generazione è di passaggio.
La scena è vuota, scarna. I corpi scivolano e cercano aria in vestiti troppo grandi, pantaloni e camice di seconda mano, dei fratelli maggiori. Sotto, le nudità esili scoperte che si intravedono appena quando si va a testa in giù. L’importante è restare in pista, non mollare, il corpo si scompone ma non si sfoga, cerca di dire anche affannosamente ma ha solo questo tempo e i corpi si scuotono sino a trasformarsi in vettori di energia impazziti.
Il sacro della primavera è un lavoro di gruppo, ma nella grande corsa si è perdutamente soli. Il corpo si sbilancia, cade nel desiderio di abbracciare tutto lo spazio “digeribile”, ci si abbraccia, ci si sposta un po’ violentemente, un po’ violentati come per scuotersi, per rimanere svegli.
Ci si incastra per rimanere in piedi, aggrappati gli uni agli altri. Azioni precise, forti, furiose, velocissime. Ognuno perde forza ma solo per brevi attimi, subito rimesso in piedi dagli altri. Inaspettatamente spuntano le teste sotto le gambe dei compagni, ci si aggroviglia, si cammina sugli altri ma non è sopraffazione, è sostegno, urgenza, compassione.
La sagra è il tempo interiore che si confonde che si ferma. Stravinskji mescolato al resto dei suoni del mondo. Alla grande cacofonia. Un dj set con irriverenti incursioni per un discorso dissacrante su noi stessi in primo luogo. Interrompere l’assuefazione e disturbare la quiete delle poltrone ingessate e impolverate. Dissacrare la vecchia “Sagra” per reinventare un nuovo “Sacro”.
Spettacolo vincitore del
Premio Roma Danza 2011
ideazione e coreografia
Michela Lucenti
incursioni sonore
Maurizio Camilli
danzato e creato con
Andrea Capaldi, Ambra Chiarello, Massimiliano Frascà, Francesco Gabrielli, Sara Ippolito, Carlo Massari, Alessandro Pallecchi Arena, Gianluca Pezzino, Livia Porzio, Emanuela Serra, Giulia Spattini, Chiara Taviani.